Intervista esclusiva di History Life a Giorgio Cantarini
In esclusiva per History Life abbiamo intervistato l’attore Giorgio Cantarini.
Tutti ricorderete la sua splendida ed emozionante interpretazione nel film capolavoro “La vita è bella” dove Giorgio interpretava il piccolo Giosuè Orefice, figlio di Guido Orefice (Roberto Benigni) e Dora (Micoletta Braschi).
La sua interpretazione gli valse lo “Young Artist Award” risultando il più giovane attore a essere insignito di questo premio, nonché l’unico attore italiano a riceverlo.
Oggi dopo tanto impegno e studio all’interno della Scuola Nazionale di Cinema, Giorgio è un attore professionista che sogna di collaborare con grandi nomi del cinema internazionale per realizzare nuovi progetti.
Intervista :
Com’è cominciata la tua carriera da attore?
La mia carriera d’attore è iniziata a 5 anni un po’ per caso, mi spiego: quando avevo 5 anni, uscì su un giornale di Terni l’annuncio che Roberto Benigni stava cercando un bambino per il suo nuovo film, e spesso quando si cerca un bambino per interpretare un ruolo, viene fatta una ricerca nei luoghi in cui verranno svolte le riprese, per motivi di convenienza. Il destino ha voluto che mia zia materna abitasse proprio a Terni, dove avrebbero girato gran parte del film, e leggendo l’articolo si rese conto che la descrizione del bambino che stavano cercando si adattava molto sia al mio carattere che alla mia fisicità. Disse a mia madre di questa cosa e allora, un po’ per gioco un po’ con grandi speranze i miei genitori decisero di portarmi a questo provino. Inizialmente non incontrai Roberto Benigni e Nicoletta Braschi, mi fecero delle foto e giorni dopo mi chiesero di tornare. Dopo diversi provini e diverse selezioni, alla fine eravamo rimasti in due, e mi annunciarono che ero stato scelto per il ruolo di Giosuè nel film” La vita è bella”. La mia famiglia accolse la Notizia con grande felicità e stupore, trattandosi per tutti quanti di una nuova avventura molto curiosa e anche molto impegnativa. Dopo il successo del film molte produzioni mi contattarono sia per film che per serie televisive che per spot pubblicitari. Nonostante la grande offerta i miei genitori decisero di non “gettarmi in pasto agli squali” e decisero di farmi condurre il più possibile una vita tranquilla al mio paese accettando solo i lavori di un valore artistico più alto. Proprio per questo due anni dopo, quando venni contattato da Ridley Scott per fare un cameo nel suo film “Il Gladiatore”, che sarebbe stato girato in Toscana, i miei genitori decisero di accettare, sapendo che si trattava di un grande regista e di un grande film. Così mi ritrovai all’età di 7 anni ad aver partecipato a due film che insieme avevano vinto 8 Oscar. Gli anni strettamente successivi girai uno spot per la televisione americana e un film, sempre ambientato in Italia, per l’America. Questa è un po’ la storia di come non ha iniziato a fare l’attore successivamente per diversi anni ho fatto solo partecipazioni programmi televisivi italiani o piccoli ruoli di altro genere. Crescendo in realtà non avevo mai dimostrato il desiderio di voler fare l’attore, soltanto alla fine del liceo ho deciso che quella sarebbe stata la mia strada e decisi di tentare di rientrare in quel mondo iscrivendomi al Csc, la Scuola Nazionale di Cinema a cui ebbi accesso dopo 3 dure selezioni e dove formai il mio profilo attoriale, questa volta non più di bambino prodigio, ma di adulto professionista.
- Nel 1997 hai recitato nel capolavoro di Benigni “La vita è bella”. Nel film il tuo personaggio veniva deportato in un campo di concentramento con il padre che per proteggerlo dagli orrori di quel luogo aveva ideato un gioco a premi. All’epoca delle riprese tu eri un bambino di cinque anni. Ti hanno nascosto in un modo simile qual era il peso della storia che stavate mettendo in scena? Se si, quando hai capito l’importanza del tuo ruolo?
Diciamo che nessuno mi spiegò mai il contesto sociale e storico in cui era inserito il film, mi dissero soltanto che avevo preso parte a un lavoro molto importante che sarebbe andato al cinema e che sarebbe stato visto da moltissime persone. Anche se avevo solo 5 anni cominciai da solo a identificare negli attori che vedevo vestiti con la divisa tedesca i cattivi, e negli attori vestiti con la divisa a righe i buoni. Una volta chiesi a mia madre se veramente fosse esistito nella storia un bambino biondo come me, magro come me, che si chiamava Giosuè e che aveva davvero fatto quelle cose che io stavo facendo nel film. Un po’ commossa mi rispose: probabilmente sì, Giorgino mio. Questo fu il modo con cui io, con la mia sensibilità di bambino mi resi conto di trovarmi in un qualcosa di grande che già era accaduto.
- Il dramma degli ebrei ha rappresentato un nodo esistenziale dell’uomo: la paura dell’altro in quanto diverso. A tuo parere nella società contemporanea tale limite è stato finalmente superato oppure si è fatto ancora più evidente?
Credo che al giorno d’oggi le minoranze etniche siano più tutelate rispetto al passato, ma allo stesso tempo l’odio razziale continua ad essere presente sia nelle popolazioni del medio oriente che in quelle più occidentali, in maniera più attenuata, ma la xenofobia credo che debba essere combattuta ancora più profondamente, educando fin da piccoli i bambini alla diversità soprattutto culturale. Le grandi ondate migratorie a cui stiamo assistendo credo che nel tempo, se ben gestite dai governi occidentali, faranno sì che le mescolanze culturali diventino sempre più forti e comuni, e spero che i bambini di domani trovino normale relazionarsi con coetanei di pelle diversa, estrazione sociale diversa e cultura differente. Per quanto mi riguarda ho sempre ritenuto particolarmente interessante la diversità culturale e spero che un giorno si possa arrivare a “sfruttare” questa diversità, creando delle classi sociali e dei lavoratori sempre più vari e utilizzare la diversa abilità antropologica come arma di creatività e unione e non di separazione.
- Ci racconti un aneddoto curioso della vita da attore?
Attualmente non è facile per i giovani perseguire la carriera di attore, questo fa sì che la creatività trovi sfogo in dimostrazioni artistiche più modeste, ma più personali, essendo che si cerca di fare dei lavori propri, fatti da se senza delle grandi produzioni, questo fa sì che il doversi adattare e la creatività abbiano la meglio. La mia esperienza personale mia ha portato sia ad arrangiarmi con il “fai da te”, creando con amici e conoscenti spettacoli a teatro in cui ci si ritrova ad essere produttori, attori e registi di un lavoro, sia a partecipare a grandi produzioni in cui hai la fortuna di trovarti in alberghi lussuosi, con abiti apposta per te, con tassista personale e cene in buoni ristoranti, ma francamente trovo questo poco importante. La cosa più importante è che si riesca o da soli o assistiti a creare o a dare qualcosa di artisticamente valido per il pubblico, con o senza tanti soldi alle spalle.
Un aneddoto curioso è che da piccolo, dopo il successo de “La vita è bella” le persone per strada mi riconoscevano di continuo e volevano da me autografi, foto e baciarmi, abbracciarmi e prendermi in braccio. Un bambino che vuole essere spensierato e giocare non ha molto interesse per questo genere di attenzioni, così spesso mi ritrovavo a negare di essere io quel bambino famoso, o dicevo che si erano confusi con mio fratello gemello, o che gli assomigliavo soltanto.
- Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
I miei progetti prossimi sono quelli di girare un cortometraggio a marzo con una produzione americana e di trasferirmi poi in estate a Hollywood per fare un esperienza di lavoro all’estero, migliorare il mio inglese e conoscere personalità del cinema americano, con cui poi intraprendere una collaborazione lavorativa, questo è il mio desiderio.
- Che cos’è per te la cultura?
La cultura per me è il mezzo con cui diventiamo liberi, la conoscenza ci dà la facoltà di scegliere e di non essere manipolati, ci dà la possibilità di esprimere al meglio ciò che c’è dentro di noi, ci dà la possibilità di conoscere e accettare il diverso, ci permette di pensare con la nostra testa e non come qualcun altro ci dice di pensare, ci permette di seguire con più facilità la nostra strada, perché se sostenuti dalla cultura si può attuare quello che per me è un motto di vita : ovvero che non c’è un modo giusto e un modo sbagliato di condurre la propria esistenza, ma c’è un modo proprio che va inventato e perseguito fidandoci di noi stessi, e per questo scopo non c’è migliore alleata della cultura.